Il momento di incertezza che stiamo vivendo sembra svuotare le nostre vite di ogni contenuto. La stasi pare essersi silenziosamente impadronita delle nostre giornate e malgrado la speranza dei vaccini avesse attenuato l’atteggiamento di inerzia che sembrava averci inghiottito, i recenti accadimenti hanno fatto precipitare molti di noi nuovamente nell’incertezza.
Le aziende fanno fatica, la cassa integrazione sembra esser diventata una costante da cui difficilmente riusciremo a liberarci, la ristorazione chiude. Chiudono le piscine, chiudono le palestre, chiudono i parrucchieri, gli estetisti, si stoppano musei, cinema e teatri.
Stop alla vita.
Il presidente del consiglio Mario Draghi ha già annunciato che i soldi non potranno essere sufficienti per tutti, perché l’Italia deve essere pronta ad investire per poter ripartire. Come dire, meglio curare i soggetti sani e dimenticare definitivamente gli ammalati. Ed allora, c’è da chiedersi in base a quali parametri, alcune imprese potranno beneficiarne mentre altre si dovranno semplicemente rassegnare.
Ci siamo fatti trovare impreparati su tutto, presi di sorpresa dal virus, dall’incapacità di elaborare un piano vaccinale, dallo stesso fermo che ha investito ogni settore, a livello mondiale. E c’è da chiedersi se si riuscirà a vaccinarsi tutti entro settembre e se in una ripresa costruttiva, potremo ancora tornare a sperare.
Nel dipinto di Marcello Vandelli dal titolo “Vite che non sono la mia” ben si riassume il senso di frustrazione che stiamo provando, infilati con prepotenza in un’ esistenza che sembra non poterci in alcun modo più appartenere, senza più programmi, senza più dei sogni, privi di qualsiasi cosa in grado di poterci motivare.
Chi ha uno stipendio sicuro, in questo particolare momento storico, vive il disagio di colui che fa fatica persino a mangiare, perché sebbene l’italiano abbia più di qualche difetto, una dote deve essergli riconosciuta: l’italiano è solidale. Le file fuori dalla Caritas, che i canali di informazione continuano a rimandare, si rivelano a dir poco preoccupanti per la tipologia delle persone radunate. Anziani, ex imprenditori, intere famiglie. Le macchine hanno sostituito persino le case, perché il non aver più un lavoro, oggi rende molti impossibilitati a pagare un affitto.
Crescono le occupazioni forzate, cresce il disagio, cresce il senso di vuoto che sembra non volerci più lasciare.
Rimane la speranza, forse mai abbandonata, che da questa vita che non sentiamo esser più la nostra, l’uomo riesca a non farsi sopraffare.
Torneremo presto a correre, ridere e giocare e perché no… forse persino a sognare.