MOSTRA PERSONALE
“L’APPARENZA E L’ESSENZA”
Roma, 27 febbraio 2019
con la partecipazione di Angelo Crespi
Sartre diceva che essenza ed esistenza coincidono: in soldoni, tu sei ciò che fai. Nietzsche da par suo ci insegnava a “diventare quel che si è”, ma… l’essenza è la stessa.
Lo sa bene l’artista Marcello Vandelli, che a Roma a Palazzo Velli dal 27 febbraio ci presenta L’Apparenza e l’Essenza, personale a cura di ArtNow media con testo critico di Angelo Crespi e forte di ben 40 opere di grande formato che rappresentano un po’ una retrospettiva – rigorosamente in vita! Una vita vissuta, quella di Vandelli, intimamente connessa al rapporto arte/vita degli scrittori e degli artisti dell’età romantica, ma attualizzato al nostro secolo.
C’è molto Schifano e c’è la Scuola Pop romana, in questo percorso espositivo dove incappiamo in una lunga teoria ricorsiva di silhouette ora colme di nero impenetrabile come un’ombra, ora affogate in un bianco fantasmatico, talaltra pregne di colore uniforme, quasi sussistenti su sfondi fluttuanti à la Chagall.
Vandelli artista visionario? Certamente, ma più che al fauvismo padano di un Ligabue (Vandelli è nato a Modena), pensiamo al figurativismo fantastico di quell’Osvaldo Licini con le sue “Amalassunte”, figurazioni dai densi richiami onirici e misteriosi. E allora, “che un vento di follia totale [lo] sollevi”, il nostro Marcello Vandelli…
L’apparenza e l’essenza nell’opera di Vandelli. Tra Licini e Schifano di Angelo Crespi “Decipit prima frons multos”, scrive Fedro, la prima impressione spesso inganna. Ma anche no. Talvolta l’apparenza infatti coincide con l’essenza ed altre volte, similmente, l’essenza si manifesta ed appare senza tema ben oltre l’apparenza. Questo sottile dilemma spiega l’immagine scelta da Marcello Vandelli per la sua personale di Roma. Egli appare su un destriero bianco in posa di imperatore, l’elmo piumato di rosso, nella mano alzata non il gladio bensì alcuni pennelli a mo’ di fiaccola e, al posto della bisaccia, barattoli di vernice; sullo sfondo il Colosseo dipinto. A metà tra la statua equestre di Marco Aurelio e il Brancaleone di Gassman, sta dunque il personaggio surreale che si è scelto Vandelli per auto rappresentarsi in questa discesa antimodernista dentro i meandri della capitale; e fa l’effetto di quando Battisti e Mogol nel 1970 decisero di attraversare l’Italia a cavallo, da Milano a Roma, scoprendo lo strapaese che resisteva nelle provincie e nelle borgate cantate con tono epico da Testori e Pasolini. Sembra uscito, Vandelli, dal colorificio Poggi, dietro il Collegio Romano, dove Memmo tra una chiacchiera e l’altra serviva Balthus e Schifano. E proprio Schifano è uno dei miti a cui guarda Vandelli che, fosse nato trent’anni prima, sarebbe stato di certo uno della schiatta della pop art romana, non solo per i modi, in cui goliardia e follia ben si mescolano, ma per il tipo di pittura in cui la modernità coi sui miti e i suoi loghi viene inglobata nella grande tradizione della pittura italiana e vira non alla flatness come Oltreoceano (si pensi a Warhol), semmai esondando nell’informale ci appare familiare. Ci sono opere, tra quelle meno recenti o anche, per esempio, tra quelle in mostra (“Le muse inquietanti” o “La pura carne”), che sono quasi dei calchi di alcune tele del miglior Schifano, ed altre con le siluette in negativo di uomini che ricordano Renato Mambor, o di donne che richiamano i lavori di Giosetta Fioroni. Il tutto accelerato e centrifugato dalla contemporaneità più stretta, e da una originalità intrinseca del pittore modenese che lo fa nobile discendente del fauvismo padano alla Ligabue. Certo, l’aspetto più visionario – ben colto da Vittorio Sgarbi – non può che farci riandare al Licini di Amalassunta, cioè a quel figurativismo fantastico di quando il pittore marchigiano negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento tornò dall’astrattismo a una figurazione densa di richiami onirici e mitologici. Prima frons decipit… non dobbiamo pero farci ingannare dallo scherzoso tono con cui Vandelli si presenta, neppure dall’esondante tavolozza di cui maschera i propri intenti, piena di colori in cui prevalgono i rossi e gli aranci, piuttosto soffermarci sull’essenza di un lavoro che ha un forte substrato politico (si veda “I deboli sono destinati a soffrire”), che evidenzia una tensione civile (“Laboratorio umano”), ed anche uno sfondo lirico esistenziale (“La vita che non vedi” o “L’arte di essere fragili”) che può addirittura sfociare, a tratti, nel religioso (“Nessuno si salva da solo”). Nell’insieme, un’opera di grande espressività, di esuberante creatività, di irriducibile simbolismo nella quale in molti casi il simbolo verte al segno e l’aspetto cromatico diventa elemento centrale. E torniamo all’inizio: “apparenza” ed “essenza” coincidono, e nello stesso tempo la seconda nega la prima, o forse è la prima che esalta la seconda, così che nel districarsi dell’endiadi il nostro sguardo si perde innamorandosi tra colore, forma, senso.
PREMIO VAN GOGH
International Art Exhibition
Monreale, 14-22 aprile 2018


PREMIO INTERNAZIONALE
BRUNELLESCHI
FIRENZE, 19-21 GENNAIO 2018
L’artista Marcello Vandelli e l’opera esposta.
SOGNO IN TUTTE LE LINGUE, dim. 140×85, tecnica mista
BIENNALE INTERNAZIONALE
ARTE CONTEMPORANEA
MANTOVA, 4-10 NOVEMBRE 2017
Selezione di n. 6 opere a cura del Prof. Paolo Levi
ECCELLENZE MUSEALI
MONREALE, 12-23 SETTEMBRE 2017
LA DEPRESSIONE E’ UN DONO DI DIO (tecnica mista, dim. 100×66)
IL PROF. VITTORIO SGARBI, CURATORE DELLA MOSTRA
international prize novecento
bagheria, 6-8 luglio 2017
Marcello Vandelli è un pittore di grande originalità che sceglie il simbolismo come sua luce guida nel buio della comunicazione pittorica.
Opere che affrontano diverse tematiche, che si tingono di cromie intense che diventano esse stesse protagoniste dei suoi lavori, e che comunicano all’astante delle sensazioni immediate. Giocare con le emozioni, coi sentimenti, con le reazioni che un qualcosa può suscitare in una persona, diventa lo scopo artistico della sua carriera e questo perché qualsiasi artista abbia nei confronti della creatività, un approccio quasi spontaneo, desidera che tra le sue opere e l’astante si crei un ponte di comunicazione efficace.
Lo stile del maestro si affaccia da una finestra ampia che dà su un altrettanto grande universo dove tutto è concesso senza limiti espressivi. I colori nelle sue opere si susseguono secondo uno stile ben preciso, si alternano livello dopo livello creando uno schema tonale di grande bellezza.
Nulla è lasciato al caso, e il maestro attraverso la sua produzione pittorica, riscrive il solito alfabeto pittorico arricchendolo di simboli ed elementi segnatici, di indizi e di input interpretativi che possano stimolare una reazione esterna, che possano sottolineare il punto di rottura con la tradizione pittorica precedente per dare e fare spazio all’innovazione.
Paolo Levi
PUO’ LA COSCIENZA DIPINGERE? (tecnica mista, dim. 100×66)
2° biennale arte
contemporanea
barcellona, 5-7 maggio 2017
“… il solo possibile approccio alle sue ermetiche folgorazioni di pittura narrativa, lo si affronta appropriandosi della superficie del quadro, seguendola voce del titolo che ci inoltra in un territorio dove la percezione visiva non ha risposte certe…”
Paolo Levi
MOSTRA PERSONALE
“ONIRICON”
Villa Benni, Bologna
febbraio – marzo 2017
mostra personale
“SGUARDI LONTANI”
BRESCIA – 15 MARZO 2016


mostra personale
“LE VIBRAZIONI DEL COLORE”
MIRANDOLA – OTTOBRE 2015




Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.