Le ricerche espressive e sperimentali del primo e del secondo Novecento – divenute sin dal loro nascere moda ispirativa e collezionistica europea – condensavano certezze e messaggi estetici rivoluzionari; individuiamone alcuni, presi a caso: il Futurismo salutava con ottimismo l’avvento dell’era industriale; Valori Plastici, al contrario, riprendeva i contenuti estetici del Rinascimento, senza compromessi; il Surrealismo privilegiava esecuzioni tematiche di ambito strettamente onirico, con Sigmund Freud come profeta; il Realismo socialista mirava alla rivoluzione proletaria, contribuendovi con l‘illustrazione della lotta di classe, supportata da tela, cartone o carta; l’Informale degli anni Cinquanta rifiutava, come scelta morale, la rappresentazione della figura umana, perché ridotta in cenere nei crematori di Auschwitz; l’area Concettuale, imperante sul mercato internazionale, dai primi due decenni del XX secolo ad oggi, annuncia con funerea determinazione la morte dell’arte, avallando prodotti di forme e materiali inusuali, e artisti impegnati contro l’estetica Idealista.
Questo recente millennio, alla soglia dei vent’anni, esprime appieno l’attuale contradditorio percorso del comparto d’arte, dove si contrappongono messaggi variegati, in un moto vorticoso iniziato un secolo fa con l’apparizione violenta e dissacrante del Movimento Futurista. Attualmente vediamo soprattutto una grande confusione di linguaggi espressivi, in una sorta di Torre di Babele dell’arte.
E possiamo solo concludere che, alla fin fine, ogni epoca ha l’arte che si merita. Per questo, e non per altro motivo, mi sono chiesto all’istante, di fronte alle composizioni di Marcello Vandelli, come sia possibile per un’autentica forza della natura, per un pittore libero e geniale come lui, riuscire a operare in tempi così oscuri.
La sensazione ricevuta al primo impatto è stata quella insolita di trovarmi al cospetto di un extraterrestre, del tutto fuori dal tempo e dalla storia, e un estroverso senza freni. Esaminando poi con la dovuta attenzione una decina di lavori, ho potuto percepire dalla complessità della sua scrittura pittorica l’energia effervescente di un artista il cui ricco patrimonio emotivo è guidato da Ermes in ogni occasione ispirativa. È la realizzazione di lampi pittorici visionari, frammenti di un inconscio dalle radici antiche. Sono magistrali alchimie di forme e di colori, intuizioni che appartengono all’invisibile filigrana dell’anima di un artista talentuoso.
Illuminazioni fulminee, rivelazioni approdate istantaneamente sul supporto nella loro completezza, costituiscono una sorta di anticamera ispirativa per approdare a un’esecuzione che progredisce segno dopo segno, campitura dopo campitura.
Sono passaggi dove Marcello Vandelli si attiene al suo codice alchemico, e dove gli ingredienti basilari sono rappresentati dalla convivenza equilibrata di rabbia e di allegria, di sogno e di realtà. Sono momenti esecutivi che rappresentano un gioco delle parti su un palcoscenico allusivo, di cui solo l’autore possiede la chiave d’accesso.
Nella mirabile tessitura del costrutto intravedo la magica energia creativa di Ermes che qui sembra aver preso dimora.
Queste composizioni di arcane simbologie esprimono il dettato che proviene da tensioni intime inarrestabili, senza le quali Marcello Vandelli non potrebbe portare a compimento dipinti di simile fattura immaginifica.
Egli infatti agisce secondo un suo codice cromatico, che è poi il riflesso materico delle sue inquietudini.
Ed è per questo che la sua innata gioia di vivere non gli impedisce di cogliere i rovelli di Anime perdute, una pagina pittorica suadente, una struggente composizione sulla soglia dell’astrazione; o l’esemplarità simbolica del costrutto Ancora Christi, una riflessione sul sacro e nel contempo messaggio profano, da non intendere quindi solo come rappresentazione in chiave squisitamente religiosa. In questi lavori è in piena evidenza che Marcello Vandelli usufruisce del dono dell’Intuizione, di cui la natura lo ha dotato con visibile generosità, e di cui egli fa perfetto uso.
Lo conferma sapientemente, con altre parole, il collega Paolo Capacciola quando, addentrandosi nelle formulazioni espressive del pittore, conclude il suo testo critico con considerazioni pertinenti alla poesia. Nelle sue strofe pittoriche non si nasconde una storia, un tema, un’immagine; nel suo stilema si racchiude un mondo fatto di ricordi e di visioni, di geometrie spurie e di colori fin troppo puntuali. Appartiene all’immanenza della sua quotidiana utopia di artista guerriero e di pittore interiormente fanciullo, l’addolorarsi di quanto poco il mondo che lo circonda riesca ad afferrare i suoi messaggi, sia dal punto di vista estetico che di contenuto.
In verità, il solo possibile approccio alle sue ermetiche folgorazioni di pittura narrativa, lo si affronta appropriandosi della superficie del quadro, seguendo la voce del titolo che ci inoltra in un territorio dove la percezione visiva non ha risposte certe.
O meglio, una risposta possibile sta nel considerare ogni composizione di Marcello Vandelli come un prezioso e ineludibile tassello di un grande puzzle, un macrocosmo vibrante di colori per raccontare l’universo, per celebrare l’arte e la vita, nel bene e nel male, con il linguaggio sincero della gioia e dell’inquietudine.
Paolo Levi
IL MALEDETTO ANGELICO
L’affabulazione pittorica di Marcello Vandelli reca in ogni contesto visivo un messaggio di sottesa spiritualità. Vale a dire che l’autore di questi dipinti percepisce la sofferenza dell’uomo, e la sua assoluta precarietà nella solitudine terrestre. Con la modulazione amara dei suoi lavori – eseguiti mirabilmente a punta di segno e di pennello – sembra aderire all’intuizione filosofica di Spinoza, ossia che l’essere umano è particella divina del Creato.
A chi pone a Vandelli il quesito su cosa rappresenti per lui il colore, risponde: Lamento. Nei tempi oscuri in cui viviamo imprestati, solo sulla presenza e la sofferenza umana vale la pena di interrogarsi. Nell’attuale contesto dell’arte contemporanea, Marcello Vandelli rappresenta un caso rivelatore, non dissimile dal personaggio biblico Giobbe.
Soffrire è ingiusto, e si trovano difficilmente risposte al nostro interrogarsi. Il visionario Vandelli, per parte sua, risponde in chiave pittorica di ambito Surrealista. È un agnostico spirituale, che in alcuni approdi figurali tende a varcare la soglia del nichilismo.
Sembra di seguire in certi contesti il messaggio di Paul Celan quando in alcuni versi si interroga: Se il Nulla / esiste proprio / perché per Lui morire? Forse Vandelli, in ogni occasione di ispirazione, esorcizza il Nulla investendolo di forme e di colori.
Solo nel territorio pittorico atonale dove prevale il colore Blu, ci sarebbe da soffermarsi a lungo. È un timbro cromatico puro, rivelatore della essenza interiore del suo estensore. Talentuoso nel renderlo squillante, vibrante come se la mano non fosse sua, ma appartenesse a quella timbrica e vibrante di Yves Klein. Solo in apparenza è colore sin troppo usato. In verità testimonia l’infinitezza del cielo sereno, che diviene per un istante blu prima del tramonto e dopo il sorgere augurale dell’alba. Il Blu di Vandelli è l’assommarsi magico di atmosfere astratte chiuse entro gli anfratti della sua intuizione, ma pronto a uscire allo scoperto e contendere col Vuoto.
Per lui dipingere è una sorta di paracadute. A una percezione attenta le sue creature sono, in verità, angeli volanti, microcosmi di un magma pittorico sussurrato in chiave di inedita scrittura figurale, liricamente astratta. Ne indaghiamo il territorio di tratti cromatici, lamenti creativi, allusioni disincantate, rivelate ed evidenziate in didascalia come presenze arcane di suggestivo e pregevole valore narrativo. Si tratta della coniugazione dinamica di situazioni simboliche di assenza–presenza, di avvertimenti visionari, di un’umanità orfana, in alcuni contesti espressivi rivelata da Vandelli in chiave ludica di sberleffo, come redenzione dall’Assurdo.
Ponendo l’una accanto all’altra tutte le opere di Marcello Vandelli, viene in luce lo struggente percorso di un pittore essenziale che apre lo scrigno amaro dei suoi segreti. Rivela il suo essere severo affabulatore e nel contempo estroverso e surreale giocoliere. Un eretico che sogna ad occhi aperti, rivelando con garbo i propri incubi.
È come tutti noi un autodidatta della vita, ma con la capacità di esprimere visivamente i suoi stati emotivi, come stazioni che scandiscono il suo respiro di viandante privato del lusso di approdi sicuri. È artista allarmato e disarmato dalla cosmica impostura della vita. Poteva nascere in qualsiasi epoca della nostra storia, poiché è cronista disincantato di Amore, Vita, Morte, Guerra, e anche di Festa con coriandoli.
Marcello Vandelli è un Maledetto Angelico, dallo sguardo di sornione malinconico. Compone formule visive con frammenti Dada di scacchiere incongrue, dove ogni costrutto mette in evidenza la sua maledetta innocenza, avvertibile nello spericolato territorio che separa il sarcasmo dal nichilismo. Esprime in ogni contesto visionario essenzialità sapiente nel bilanciare la sua spavalderia con l’alchimia segreta, non facile da cogliere nell’immediato, delle sue emozioni, delle sue passioni, delle sue paure, delle sue repulsioni, delle sue memorie, dei suoi amori, e forse persino delle sue speranze.
Paolo Levi
Il segno, il movimento della linea o l’eventuale interruzione rappresentano il simbolo della scrittura espressiva di Marcello Vandelli. Mi accade più volte, nelle piacevoli occasioni in cui mi imbatto nei suoi lavori, anziché pensare di trovarmi di fronte a dei quadri, di sostituire questo termine desueto con quello a lui più attinente di pagina scritta. In effetti le linee di contorno dei suoi lavori e la stesura cromatica sostituiscono la scrittura tramite l’alfabeto.
Se gli studiosi di Cabala sostengono che la parola rappresenta la cosa, altrettanto si può sostenere che colore e segno nella sperimentazione istintuale di Marcello Vandelli rappresentano la cosa, sinonimo nel suo contesto poetico e contenutistico della conciliazione espressiva del sentimento, l’amore o il furore, secondo la tematica affrontata.
Marcello Vandelli evoca nel proprio bagaglio culturale l’allarme (ricordiamo “L’urlo” di Munch, icona della tragedia) presente dall’inizio del Ventesimo Secolo ad oggi.
Di tutto questo grido non ne fa un messaggio funzionale alle masse, come bandiera per un’utopica rivoluzione ma, da poeta quale egli è, eleva il suo avvertimento pittorico in chiave di rivelazione intimistica nei confronti della coscienza attenta di chi si sofferma di fronte al suo quadro.
Non c’è occasione in cui egli non faccia dono del titolo che viene in soccorso alla lettura della composizione. Se da una parte Marcello Vandelli è un advertiser, come l’avrebbe definito André Vida, dall’altra è un diabolico facitore di linea e colore.
La sua creatività è quella di un’anima antica, cosciente, responsabile d’ogni scrittura pittorica in cui la stesura del colore, la scelta contrappuntistica della tonalità, vanno di pari passo con quella della pagina di uno sparito musicale dove viene in soccorso, a chi di musica si intende, ciò che normalmente ci regala il dizionario dei termini musicali, parole non usate dal critico d’arte, ma che in questo caso, rivolte a Vandelli, possono essere quelle di improvviso adagio e adagio con moto.
Grazie a questo compositore di campiture cromatiche che si mutano in musica si può sostenere di avere un continuatore della tradizione dell’arte della pittura a cui egli dona il valore aggiunto del dialogo tra l’astrazione dei contenuti e la consistenza del suono cromatico.
Paolo Levi
https://it.wikipedia.org/wiki/Marcello_Vandelli
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