Lavora quasi in sordina il 62enne Marcello Vandelli, di San Felice, tanto che il suo lavoro di pittore è noto in tante parti d’Italia e molto meno nel modenese. A presentare la sua recente mostra a Roma, presso Palazzo Velli, Vittorio Sgarbi che ha messo in luce come “la sua arte scardini, proponendo di volta in volta stili diversi ma che mantengono una sola forma”.
Perché il titolo “entropico” dato alla mostra?
«Entropico è il mio stato d’animo che cambia attraverso pensieri, ricordi, sentimenti. Di quadri ne faccio anche di notte, perché riesco a recuperare, in modi diversi, con la pittura quel patrimonio di vite che ho avuto».
In che misura la sua opera è influenzata dalla Pop Art italiana?
«Schifano, Festa e Angeli hanno influito su di me per lo splendore dei colori, non per le ripetitive immagini “commerciali”, prese dalla pubblicità della Pop americana. Mi piace variare continuamente i soggetti».
A Palazzo Velli ha presentato più mostre negli ultimi anni. Perché?
«Sono innamorato di Roma, pur avendo vinto nel 2017 il prestigioso premio internazionale Paolo Levi a Milano. Quando vado a Trastevere ho nostalgia degli anni Sessanta e Settanta, degli artisti di Scuola Romana».
Da Paolo Levi viene chiamato “il maledetto angelico”…
«Se si guardano i miei quadri, si capisce che sono influenzato da tante cose, situazioni, emozioni, inquietudini che esse mi procurano e che esprimo con un mio codice cromatico».
Come si definisce come artista?
«Essere artista è quello che si è al di fuori delle parole e dentro il colore, l’immagine. Cambio continuamente linguaggio e non posso essere collocato in una determinata corrente. Mi considero un artista anomalo».
I motivi delle sue opere?
«Il motivo fondamentale è il senso di una vita, la mia. Le sagome in bianco mi rappresentano. E’ come svestirmi, non ho bisogno di colore. Sono io ma potrebbero essere anche tanti altri. Dico che i disegni più belli sono quelli dei bambini, perché hanno una mente pulita. Ora con internet siamo tutti condizionati. Quando ho fatto una mostra nel Palazzo della Regione a Bologna ho presentato un grandissimo quadro, dal titolo “Dove vanno le nuvole?” domanda che facevo spesso, da bambino, a mio padre».
A quale artista si sente più vicino?
«Sono innamorato di Emilio Vedova che è riuscito a definire il malessere del dopoguerra, con un modo originale di impiegare e spandere il colore. Altri hanno copiato male i maestri informali».
Lei realizza spesso opere di grandi dimensioni…
«È vero, perché acquistano più forza di pensiero. Tra queste “Ancora Christi”, ora collocata sul mastio della Rocca di S. Felice. Prima esposta a Mirandola per ricordare il terremoto. Il titolo riflette il concetto di aggrapparsi a qualcosa di superiore nei momenti difficili».
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Lei ha più successo fuori che nel territorio modenese. Perché?
«Ho l’idea che ciò che si fa non viene tenuto in molta considerazione nel proprio paese. A San Felice sono molto affezionato, ma con i miei amici non amo parlare del mio lavoro, ma di altre cose. Non mi piace esibire la mia attività, i miei successi».
I prossimi progetti?
«In primavera dovrei fare una mostra a Spoleto. Vorrei fare una cosa più contenuta al chiostro del Bramante a Roma. E un Dvd».